Direttamente dal racconto di Serafino Carta
Un po’ per gioco un po’ per sport, nell’estate del 1994, nasceva il periodico Forza Tharros. Nasceva da un’idea dell’allora Presidente di una delle più gloriose e blasonate società sportive della Sardegna, tal Pietro Lavra di chiare origini anagrafiche gavoesi da tempo trapiantato ad Oristano, nato cabesusesu ma diventato campidanesu. Ci proviamo?
Ci provammo.
L’idea prese corpo ed espletate le formalità di rito di legge e burocratiche il primo numero del giornale andò in stampa ed è datato 22 ottobre 1994. Ma po faghe cosa bi cheret cosa, tutto questo in gavoese stretto che in italiano suona così: con i soldi come la mettiamo?
Ci affidammo al buon cuore di sponsor che ci sovvenzionarono ad ogni numero, fummo graziati con il ricarico delle sole spese vive praticateci dall’editrice S’Alvure e con impaginazione e giochi grafici di prestigio “a gratis” a cura dell’ADWM.
Si ma un giornale è fatto anche di scritti, notizie, storie e immagini e sono in tanti a reclamare uno spazio.
Si fa quel che si può cercando di accontentare tutti.
Si alternavano gli articolisti e tutti per il solo piacere di comunicare.
Bamboli, non c’è una lira!
Serviva una firma di prestigio e chi più di Lui?
Già Lui, l’Avvocato Giannino Martinez.
Sembra facile ma quell’omone tutto d’un pezzo incute un certo timore, un certo non so che.
Che sarà mai!?
Va bene, ci proviamo.
A tutto malandare ci sentiremo mandati a quel paese. Pazienza, e se pure fosse, quantomeno, lo farà con classe e stile, col suo, diciamo pure, savoir faire.
E invece in barba a tutto e a tutti, alle apparenze e ai presupposti, l’Avvocato con entusiasmo ci manifestò la sua solidarietà, fu ben lieto di offrirci la sua collaborazione ed anzi ringraziò per l’opportunità che gli veniva data di far conoscere storie inedite di biancorosso colorate e che grazie a “Giocodisquadra”, vi riproponiamo in ordine cronologico.
Grazie, Avvocato. Peccato che non sia più tra di noi e peccato non ci sia più, ma speriamo di rivederlo presto, il nostro ma anche il suo “Forza Tharros”
Nel bel ricordo…
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Qui di seguito gli articoli scritti da Giannino Martinez per Forza Tharros (i disegni sono di Pietro Serra e Filippo Martinez e tratti da «Il terzo uomo»).
Ricordi (anno I n. 2 del 12 novembre 1994)
GIUANNEDDU CASU · ATLETA GRINTOSO E VALENTE ARTIGIANO
Assai noto negli ambienti sportivi della città Giovanni Casu fu anche un abile artigiano del ferro battuto. Sua la lampada del monumento ai Caduti.
Giovanni Casu, noto Giuanneddu era, un tempo, personaggio assai noto ad Oristano, godeva di largo ascendente presso i giovani che frequentavano il Liceo Ginnasio De Castro negli anni 1930/1940 sia perché rivestiva il grado di Capomanipolo dell’allora G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) e quindi era superiore diretto degli avanguardisti che si radunavano in occasione di manifestazioni politiche e sportive, sia perché era un atleta versatile, particolarmente dotato come calciatore e come atleta puro.
Si distingueva quale valido e grintoso attaccante soprattutto delle squadre calcistiche “Avanguardia” e “Arborea”; in tale veste gareggiava con un suo accanito ed agguerrito concorrente: Lillino Mereu il quale gli dette effettivamente del filo da torcere in tutte le attività sportive. Si assisteva a dei veri e propri “scontri”, seguiti da numerosi fans che parteggiavano per l’uno o per l’altro atleta.
Giovanni eccelleva anche nelle specialità del salto in alto, per anni rimase detentore del record oristanese, finché non lo defenestrò proprio Lillinu Mereu.
Fu anche un valente artigiano del ferro, una sua opera troneggia tuttora nel monumento ai Caduti di Piazza Mariano, la bellissima lampada di ferro battuto. Venne successivamente assunto come allievo macchinista presso il Liceo De Castro, responsabile quindi del gabinetto di chimica e fisica dell’Istituto. Fu anche insegnante di Educazione Fisica presso il Seminario di Oristano.
Dopo la guerra i giovani che erano stati suoi accesi estimatori ne hanno perso un po’ le tracce, ciò forse dovuto al fatto che costoro, divenuti a loro volta protagonisti chi in un campo chi in un altro, hanno avuto altri ideali ed altri idoli.
Una caratteristica di Giuanneddu era la sua parlata, pareva che avesse in bocca una pallina di vetro e la velocità del suo dire era tale da rendere incomprensibile o quasi ogni suo discorso. Ricordo che un giorno mi trovai con un amico a scambiare quattro chiacchiere con il Nostro, ad un certo punto ci rivolse alcune parole che io non capii in modo assoluto; chiesi al mio amico cosa avesse detto e questo mi rispose “Mi pare che abbia detto che si recava a scuola”. Nulla di più errato: Giuanneddu, inforcata la sua bicicletta, si diresse dal lato opposto al luogo ove era ubicato il Liceo. Cosa avesse detto è rimasto un mistero.
Spesso trascurava per lo Sport il suo lavoro presso il laboratorio della scuola tant’è che una volta il prof. Barbaccini, incontratolo in strada nell’ora in cui sarebbe dovuto essere al lavoro, all’ossequioso saluto rivoltogli dal Casu, gli disse “Lei chi è, per favore mi dica come si chiama”. Forse questa è una storiella per mettere in luce la passione di Giuanneddu per lo sport e lo spiccato senso dell’umorismo del prof. Barbacini.
Per anni gestì un bar in quel di Torregrande, poi scomparve dalla circolazione. Silenziosamente morì, ignorato da tutti. La sua salma fu accompagnata al cimitero da sole tre persone, pare che giunto il mesto corteo all’altezza del campo sportivo Tharros, la bara abbia subìto un grosso sussulto. Forse era Giuanneddu che salutava per l’ultima volta il campo ove, per anni, aveva riscosso applausi ed onori.
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Ricordi (anno II n. 1/2 del 21 gennaio 1995)
IL RICREATORIO. LA PALESTRA DEGLI ATLETI ORISTANESI
Ritengo di poter affermare, con tutta tranquillità, che un buon 50 per cento degli atleti oristanesi di altri tempi, abbia inizialmente battuto il campetto del Ricreatorio dell’Azione Cattolica Italiana, situato nell’attuale via Cagliari, dietro l’Arcivescovado, allora aperta campagna, denominata “s’erba ‘e cani”. Il mai dimenticato prei Marongiu ci accoglieva con grande cordialità e, una volta accertata la nostra partecipazione al catechismo, ci dava via libera per dare inizio a interminabili partite di calcio che avevano fine solamente dopo il tramonto del sole. È chiaro che le tenzoni, perché si trattava di vere e proprie battaglie, erano costellate da interminabili discussioni, specialmente quando si trattava di decidere sull’assegnazione di un rigore. Fin da ragazzo giocavo in porta ed il portiere avversario nel ricreatorio, normalmente, era Vincenzo Garau.
Molti erano gli amici che partecipavano alle chilometriche partite, voglio ricordarne alcuni: Tore Carta, Alberto Masala, Cicchino Serra, Memo Ghinami, Mario Masala, Mariano Carta, Renzo Cerchi, Sergio Meloni e tanti altri.
Spesso il pallone andava a finire nel giardino dell’Arcivescovo ed allora era giocoforza scavalcare il muraglione per recuperare la sfera. Per noi tale operazione era un giuoco che, d’altro canto, veniva ben ricompensato, infatti nel giardino vi erano tantissimi alberi da frutta che, ovviamente, venivano da noi diligentemente… depredati; ciò, è bene dirlo, nonostante l’Arcivescovo, l’allora Mons. Del Rio, per una o due volte all’anno, facesse distribuire a noi ragazzi dell’Azione Cattolica, abbondanti… razioni di frutta.
Giunta ad una certa età venivamo quasi tutti fagocitati dal G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) ed ognuno di noi seguiva la disciplina sportiva preferita.
Tore Carta diventò un atleta completo e giocatore si calcio nel ruolo di terzino, allora chiamato Bek, militò nelle fila della squadra dell’Avanguardia e dell’Arborea, ora Tharros; essendo mio difensore diretto mi dava la massima fiducia e sicurezza, si era inoltre assunto il compito di consolarmi allorquando perdevamo una partita. Ricordo che una volta, a Nuoro, dovetti incassare ben sei goal. Mi vennero le lacrime agli occhi e Torellino, così chiamato Tore affettuosamente, ebbe un gran da fare per farmi capire che la partita non era la fine del mondo. Ma erano altri tempi!
Tore cadde con il suo aereo S79 durante la guerra nei pressi di Silì, al rientro da un’operazione bellica. Mariano Carta e Mario Masala si affermarono come mezzofondisti anche in campo nazionale; Memo Ghinami, Alberto Masala ebbero soddisfazioni sia nel calcio che in atletica leggera, Renzo Cerchi, Vincenzo Garau e Cicchino Serra non furono certamente fortunati: Renzo morì infatti durante la guerra precipitando con il suo aereo, Vincenzo e Cicchino morirono in buona età in due diversi incidenti stradali.
Ho inteso solo ricordare, come già detto, alcuni dei miei più cari amici sportivi tra i quali coloro che sacrificarono la loro giovane vita al servizio della Patria ed ho inteso mettere in evidenza il fatto che tanti dei giovani che, come atleti, in un modo o nell’altro, hanno frequentato il glorioso campo della Tharros hanno lasciato un’impronta indelebile anche nel corso della loro vita. I giovani attuali non li ricordano, non per colpa loro; tale responsabilità ricade infatti su di noi anziani che su questi ragazzi abbiamo steso il telo dell’oblio.
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Ricordi (anno II n. 3/4 del 24 febbraio 1995)
L’ARTE DI ARRANGIARSI, OVVERO… COME ARRIVARE PRIMI SENZA FATICA
Oristano è stata sempre una fucina di bravi atleti. Purtroppo, in altri tempi, non essendo ancora Provincia, per molte gare non godeva di certe “agevolazioni” soprattutto durante le competizioni eliminatorie che preludevano alle finali in campo Nazionale. Eravamo infatti costretti ad imporci sui numerosi e forti atleti di Cagliari. La nostra era una sparuta squadra, ma la costante e puntigliosa preparazione atletica faceva sì che, spessissimo, ci imponessimo sui nostri avversari, guadagnandoci così un posto per le competizioni… continentali.
Tenete conto ad esempio che, per molto tempo, avendo Severino Ibba seminato a fave il campo Tharros (i motivi li diremo un’altra volta), eravamo costretti a svolgere i nostri allenamenti sulla pubblica strada. Ci allenavamo senza la presenza di alcun tecnico-allenatore per cui le nostre prestazioni erano limitate e non veniva sfruttata appieno la nostra potenzialità fisico-atletica.
Non avevamo attrezzature e molto spesso dovevamo… arrangiarci, rubando letteralmente givellotti, dischi e palle di ferro nei campi ove svolgevamo le gare.
Ricordo il… “furto” capolavoro di un giavellotto, perpetrato nel Campo dell’Amsicora di Cagliari.
Il nostro compagno giavellottista, Elio Crucco, durante il riscaldamento, scagliò volutamente l’attrezzo al di là del muro di cinta del campo, ove attendeva Angelino Dessì, fondista, il quale, raccattatolo, fuggì come un fulmine alla Stazione Ferroviaria, nascondendolo nel treno sulla reticella portabagagli. Proprio a Cagliari furono segnalate le nostre bravate e le autorità del luogo, invece di punirci, ci fornirono di attrezzature il che ci consentì di svolgere la nostra attività per parecchio tempo. Non posso esimermi dal raccontare un episodio che fece epoca.
Recatici a Roma per le finali del Gran Premio dei Giovani, faceva parte della comitiva anche un giovane Sassarese certo Pintore, fondista. Si trattava di una massacrante corsa campestre che si svolgeva su un circuito in campagna da ripetere diverse volte. Noi incitavamo il nostro compagno ad ogni suo passaggio ma ad un certo momento non lo vedemmo più transitare; allorquando, a circa due chilometri dal traguardo, ecco ricomparire il Pintore il quale diede inizio a un irresistibile “sprint” lasciando di stucco tutti gli altri concorrenti e giungendo tutto solo al traguardo. Un vero trionfo! Venne portato a spalla da noi e ricevette anche i complimenti dagli stessi giudici di gara. Nasceva un nuovo Dorando Petri.
Ad un tratto la scena mutò: sul traguardo arrivarono i vari giudici del percorso i quali affermarono che, per molti giri, non avevano visto il… vincitore.
Ci fu la squalifica e la radiazione del Pintore dalla FIDAL. Apparve chiaro che il nostro… amico, durante la gara, era uscito dai ranghi nascondendosi nel margine del percorso, per venir fuori poi, fresco fresco, sul finale.
La nostra squadra, per qualche tempo, dovette subire gli strali delle altre compagini. L’onta fu lavata solamente con le nostre chiare ed incontestabili affermazioni sul campo.
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Ricordi (anno II n. 5/6 del 1 aprile 1995)
DOPO UN INCONTRO A GHILARZA. FINALE COL BRIVIDO
Erano le sette del mattino, l’ora dell’appuntamento in piazza Roma.
La squadra era al completo, mancava solo Lillino Mereu il quale, abitando proprio nei pressi del luogo della partenza, sarebbe dovuto aggregarsi alla comitiva all’ultimo momento. Attendemmo un buon quarto d’ora, poi constatando che l’attesa si faceva troppo lunga, andai direttamente a casa sua; lo trovai ancora a letto e ai miei solleciti rispose che non era in condizioni di giocare perché, durante la notte, mentre sognava di partecipare ad una partita di calcio, ebbe a sferrare un calcio che andò a colpire un pomo della spalliera del letto per cui ora, aveva il piede gonfio… quando si dice la passione calcistica.
Severino Ibba, responsabile della squadra provvide ad effettuare la sostituzione dell’infortunato, seduta stante.
Finalmente partimmo alla volta di Ghilarza. La partita era importante: si trattava di una finale di uno dei tanti tornei ai quali la nostra compagine dell’Avanguardia partecipava, tanto che, fatto invero eccezionale, eravamo partiti di buon mattino.
Un camioncino della impresa costruzione “Ferrobeton”, cortesemente posto a nostra disposizione, ed alla cui guida era l’autista della ditta, ci portò a destinazione; nostro accompagnatore era il Capo Manipolo Nico Uras.
Vincemmo.
Presi dall’euforia della vittoria, prima di partire festeggiammo in un bar il nostro “alloro”.
Partimmo, i canti e le urla accompagnavano il nostro cammino. Io ero seduto all’estremo limite del camioncino. Ad un certo punto, dopo Paulilatino, notammo che le strisce laterali, che segnano la carreggiata della strada, scorrevano quasi al centro del nostro automezzo, addirittura sulla sinistra; urlammo i nostri timori tanto che Nico Uras fece fermare per rendersi conto della situazione. Scese anche l’autista il quale alle nostra vibrate rimostranze, disse testualmente: “Quando la curva è bene abbordata, saluti fascisti ed a noi”.
A malincuore riprendemmo la corsa. Ad un certo punto il camioncino sbandò tutto sulla sinistra andando a finire in cunetta, rovesciandosi. Fortuna volle che non uscisse sulla destra ove c’era una profonda scarpata. Ci furono attimi di silenzio assoluto, poi si udì un grido: “Alberto morto sei?!”. Era Mario Masala che chiedeva notizie del fratello. A stento uscimmo dalla carcassa, eravamo tutti illesi.
Il traffico era molto limitato per cui iniziammo la nostra marcia verso Oristano, abbandonando in loco, addormentato, l’autista. Frattanto Severino Ibba, preoccupato per il ritardo, ci mandò incontro due autovetture.
Tutto finì per il meglio. Soamente vennero sospesi i festeggiamenti previsti per la vittoria.
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TEMPI EROICI (anno II n. 13 del 24 novembre 1995)
Se si parla di Società Tharros, il nostro pensiero corre alla squadra di calcio; ciò è assai riduttivo dato che la Società oristanese ebbe i suoi maggiori fulgori non nel tempo del calcio, ma come “Società Ginnastica Tharros” la cui ragione sociale venne variata molti anni dopo in “Società Polisportiva Tharros”.
Che cosa ci sia di “Polisportivo” francamente lo ignoro, infatti tutte le altre discipline, escluso il “calcio”, si sono appoggiate ad altri Organismi.
Nel campo dell’atletica Leggera, ad esempio, si è imposta l’Atletica Oristanese, che, mercé la saggia ed infaticabile guida del professor Francesco Garau, si è ben affermata in campo nazionale.
È con un velo di nostalgia che ritorno indietro nel tempo di parecchi decenni, allorquando, studenti, oltre alla sfera di cuoio, praticavamo l’atletica con buoni risultati nell’agone regionale, più scarsi in quello nazionale. Sarà il caso di tener presente che, all’epoca, eravamo privi della più elementare attrezzatura: non esisteva praticamente la pedana per i salti, a meno che non si volesse chiamare così uno spiazzo di terreno antistante i “ritti” per il salto in alto, corredati con un cordino, due sacchetti di terra ed un carro di sabbia per le cadute; le corse veloci venivano da noi praticate su una ideale corsia che andava da una parte all’altra delle due porte per il calcio; quelle di mezzo fondo e di fondo sulle strade di campagna.
Ricordo che un anno eravamo in pieno allenamento atletico, ci attendevano le eliminatorie provinciali a Cagliari per poter poi, eventualmente, recarci in Continente per le finali; quando una mattina avemmo la sgradita sorpresa di trovare tutto il terreno di giuoco completamente ricoperto con mucchi di terra provenienti dagli scavi cittadini delle fogne. Il professor Severino Ibba, nel periodo irriducibile “nemico” del calcio, non pensando alle conseguenze dannose che avrebbe arrecato anche alle altre discipline, aveva autorizzato la discarica.
Sia io che Mariano Carta, Lillino Mereu, Mario Masala, Chicchino Serra, Sergio Meloni ed altri non intendevamo arrenderci; era per noi troppo importante partecipare alle eliminatorie di Cagliari; un buon piazzamento infatti, come già fatto cenno, ci avrebbe consentito, come altre volte, di fare una… gita in Continente; ciò sarebbe stato l’unico premio per tutti i nostri sacrifizi.
Ci armammo di pale, picconi e carriole e, per giorni e giorni, lavorammo per tracciare, in mezzo al campo, almeno una corsia liberandola dalla terra ammassata.
Riprendemmo i nostri allenamenti sia pure con sensibile ritardo; lasciamo al lettore immaginare in quali condizioni operavamo. Andammo a Cagliari. I risultati furono deludenti; l’approssimativo, sia pure sudatissimo, allenamento aveva inciso in modo determinante sulla nostra preparazione atletica.
Unica nostra soddisfazione fu quella di aver imparato alla perfezione l’uso del piccone, della pala e della carriola.
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UNA GROSSA DELUSIONE NATALIZIA (anno II n. 14 del 22 dicembre 1995)
Correva, forse, l’anno 1936 ed il Consiglio Direttivo della Società Calcio “Arborea” ora Tharros, ebbe ad organizzare, in occasione delle festività Natalizie, un così detto “tè danzante” all’epoca molto di moda; vennero invitati alla serata “mondana” tutti gli atleti, i dirigenti ed i loro familiari oltre ad un congruo numero di tifosi, tenendo particolarmente conto delle possibilità di poter… rimorchiare qualche bella ragazza.
Il tutto si riduceva, in effetti, a quattro salti che i partecipanti avevano la possibilità di effettuare al ritmo del tango, valzer, mazurca, diffuso da un radiogrammofono.
Veniva allestito anche un piccolo bar a pagamento ove, oltre a qualche dolcetto, il piatto forte era non lo champagne francese, ma la più umile vernaccia anche se, quest’ultima, nulla aveva da invidiare al più blasonato concorrente.
Poiché la società era priva di un idoneo locale Remo Nurra, dirigente del Dopolavoro, fece sì che venisse ceduta per la bisogna, una vasta sala della Sede del Fascio di Combattimento ubicata nel Palazzo Parpaglia ove attualmente si trova l’Antiquarium Arborense.
Con precisione cronometrica arrivarono gli atleti tra cui Eugenietto Cherchi, Orlando Floris, Tore Carta, Alessandro Verde, successivamente giunsero i Dirigenti con in testa Cicito Piras, responsabile della Società, Manlio Meloni ed altri, tutti o quasi i partecipanti venivano accompagnati dalle mogli, sorelle ed amiche; la sala si riempì ben presto, iniziarono le danze; le tenere note di Nostalgico Slow, Balocchi e Profumi, il Biondo Corsaro, il Danubio Blu crearono una atmosfera di intimità, molti giovani ballavano guancia-guancia, ogni tanto il fatidico grido di “dame al buffet” rompeva il fruscio delle danze; a quell’invito perentorio ogni… cavaliere offriva alla propria dama qualcosa, acquistandola al buffet; solo chi era in bolletta, faceva finta di non aver sentito e continuava tranquillamente a seguire il vortice delle danze.
Al culmine della festa, improvvisamente giunse trafelato il vigile urbano Perra, noto Perrixeddu, il quale si avvicinò a Cicito Piras e gli trasmise l’ordine da parte del Comandante dei Vigili Urbani Vincenzino Albano, di sospendere immediatamente ogni attività danzante in quanto l’ingegnere del Comune Bonaso, aveva dato precise disposizioni in merito. Il pavimento della sala, ricavata dall’abbattimento di alcuni tramezzi, non dava alcun affidamento di solidità.
Una bomba non avrebbe avuto un maggior effetto dirompente.
Sorsero discussioni a non finire, ma il vigile Perra fu irremovibile: gli ordini erano ordini e come tali vennero posti in essere; la sala fu resa libera in poco tempo.
Io e parecchi altri giovani ci trovammo quindi soli e sconsolati e tanto per lenire la nostra amara delusione sgranocchiammo diversi dolcetti e bevemmo un bel po’ di vernaccia, al vino seguirono i cori che, data la circostanza, sapevano più di canzoni funebri che di allegria.
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VECCHIA GLORIA BIANCOROSSA (anno III n. 1 del 18 gennaio 1996)
È scomparso un amico.
Iginio Piroddi si è spento alla veneranda età di novantasei anni.
Per decenni potevi vederlo nell’ingresso del suo antico negozio di mobili, nella via Tirso, con l’eterna sigaretta, infilata in un bocchino di osso, tra le labbra.
È stato, nonostante la differenza di età, mio amico e, per molto tempo, ho lavorato nel suo interesse.
Chi era Iginio? Uomo onesto, di carattere fermo ed alcune volte perfino scorbutico, ciò non toglie che fosse anche incline all’umorismo. Per molti anni, con la sua FIAT 1100, ci siamo recati a Cagliari, assieme al col. Ugo Sotgia, al prof. Albino Aru ed il dr. Silverio Onorato, per assistere alle partite di calcio che il Cagliari, all’epoca in serie C, disputava nello stadio Amsicora. Ma la legittimazione per essere ricordato in questo giornale sportivo, trova la sua degna radice nel passato degli anni venti, allorquando il Nostro militò per lungo tempo nella gloriosa squadra della Società Ginnastica Tharros. Fu infatti tra l’altro uno dei protagonisti unitamente ad Ettore Massidda, Severino Ibba, Mario Caiazzo e diversi atleti dell’affermazione della Società nel Concorso Ginnico Internazionale di Firenze, svoltosi nel 1924, partecipò anche al grande Saggio Ginnico che si tenne, proprio nel Campo Tharros, in occasione dell’inaugurazione della palestra nel 1926; da ricordare che, precedentemente, la palestra della società era ubicata in locali siti nel cortile che trovasi tra il palazzo della Telecom ed il palazzo del Comune nella piazza Eleonora.
Per diversi anni, dopo la seconda guerra mondiale, fu consigliere della Tharros essendo presidente Giuseppe Annis Posu, il suo valido apporto fu, in parecchi casi, determinante.
Con l’avanzare dell’età, il distacco con l’ambiente sportivo fu per lui inevitabile; il suo temperamento lo portò a rallentare i rapporti con gli amici. Si rifugiò nei suoi tanti ricordi.
È scomparso in silenzio, come era vissuto negli ultimi anni della sua vita, lasciando in chi l’aveva conosciuto l’immagine del burbero benefico.
Ciao Iginio! Ricorderò sempre, con emozione, il filo di fumo della tua sigaretta che sale lentamente in Cielo.
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SARTIGLIA MINORE (anno III n. 2 del 16 febbraio 1996)
Sarebbe del tutto superfluo inoltrarmi nei meandri noti, triti e ritriti della più importante manifestazione equestre carnevalesca sarda e, forse, europea. Intendo invece intrattenere il mio cortese lettore sugli aspetti meno noti della corsa, nella speranza di fare, quantomeno qualcosa di originale e gradita.
Si era, se non ricordo male, attorno agli anni 1949/1950. Faticosamente la Pro Loco, allora A.T.A. (Associazione Turistica Arborense), ricuciva quelle che erano le caratteristiche della Sartiglia, ripulendo i costumi (moltissimi cavalieri correvano con il “domino”) e le bardature dei cavalli; la sola pariglia di “Su Componidori” aveva, ed ha, sempre tenuto il decoro tradizionale, così pure la famosa cena che viene offerta ai cavalieri ed organizzatori alla fine della giostra.
In quell’anno i Gremi invitarono, per la prima volta, anche i rappresentanti della attuale Pro Loco ed io, in qualità di Vice Presidente, assunsi l’incarico di partecipare al banchetto.
Mi recai puntuale all’appuntamento; fui ricevuto dai Presidenti dei Gremi con la massima cortesia e gentilezza; mi fecero accomodare al centro della tavolata ove si trovavano le… autorità sociali; mi fu rivolto anche un applauso, diretto, si badi, non alla mia persona, ma alla Associazione Turistica che tanto si adoperava a favore della Sartiglia; da tener presente che, all’epoca, non so se tuttora, la detta Associazione erogava a favore dei Gremi, un congruo contributo.
“Prego, assaggi questo” – “vorrà perdonarci” – “lei deve avere pazienza” queste erano le frasi che mi venivano inizialmente dirette.
Man mano che il… simposio andava avanti, l’ambiente si surriscaldava, la vernaccia, di cui non si faceva risparmio alcuno, incominciava a fare i suoi euforici effetti, l’allegra confusione era al culmine; incominciarono a volare le arance, le risposte erano immediate. Ad un certo momento ricevetti un frutto in piena faccia, risata generale e scuse a profusione, io ritenni che fosse giunto il momento di togliere le tende; mi alzai in piedi, salutai cortesemente con un sorriso anche se, debbo ammettere, era con “craxiou”, e, accompagnato dai Presidenti dei Gremi, mi avviai all’uscita allontanandomi da quella allegra baraonda, mentre il grido “chi biva s’abbogau” veniva urlato a gran voce a mo’ di saluto.
Che tempi! Ora, è vero, tutto è più organizzato, tutto è incasellato in schemi previsti, ma la spontaneità, il calore umano non esiste più.
Il grido de “chi biva s’abbogau” mi risuona spesso alle orecchie e, credetemi, mi porta un senso di commozione.
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CARO PEPPINO (anno III n. 2 del 16 febbraio 1996)
Mi piace ricordare un atleta simpatico e generoso che ha lasciato, particolarmente nell’ambiente sportivo e non solo in quello, una impronta nell’animo di coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo: Peppino Cabella.
Nato a Tempio il primo febbraio 1923, fin da giovanissimo mise in risalto le sue qualità fisico-atletiche. Ma la sua passione era il «pallone» al quale dedicò tutto il suo tempo libero.
Il «Tempio» società calcistica, non se lo fece sfuggire, annoverandolo presto tra i giocatori più stimati.
Io lo conobbi in occasione di una partita che la Tharros disputò in quella città, ero l’accompagnatore. Mi colpì, oltre la sua prestanza fisica, la grinta e la dedizione al suo ruolo di difensore che svolgeva, direi quasi, con accanimento, lasciando ben poco spazio al suo diretto avversario.
Il «Cagliari» lo notò e per qualche tempo, giocò in quel sodalizio.
Quindi passò al Casale, per poi giungere ad Oristano, nella Tharros. Si era negli anni ’50. Nella nostra città diede il meglio di se stesso, affermandosi come uno dei migliori della compagine arborense.
Appese le scarpe al classico «chiodo», ebbe la soddisfazione di essere chiamato ad allenare i bianco-rossi ai quali impresse il suo particolare modulo di gioco.
L’attività primaria era quella di funzionario presso il Distretto Militare di Oristano, ormai aveva messo su famiglia; lo ricordano gli interessati come persona disponibile e bonaria.
Pensionato, non si allontanò mai dall’area sportiva, essendo sempre prodigo di suggerimenti e proposte che provenivano dalla sua esperienza.
Ci ha lasciato il 29 maggio di quest’anno. Io continuo ad incontrarlo nelle mie passeggiate quotidiane, mi sorride con il suo riso buono e cordiale.
Sono convinto che anche nell’«aldilà» riuscirà ad imporre il suo amore per lo sport. Chissa che non abbia costituito una squadra di calcio «azzurra» per difendere i colori «rosa» del…Paradiso.
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L’ESORDIO AMARO (anno IV n. 1/5 del 3 maggio 1997)
Correva l’anno 1936 allorquando venni invitato da un dirigente della allora «Soc.Arborea», ora Tharros, a presentarmi al campo in uno dei prossimi pomeriggi. Avevo poco più di sedici anni, diedi i primi calci al pallone nel campo del Seminario, chiamato il Ricreatorio sotto il vigile sguardo del sacerdote don Raffaele Marongiu, affettuosamente da noi chiamato prei Marongiu. Fui portiere della squadra degli «Studenti Medi» del De Castro di Oristano; entrammo in finale nel torneo provinciale studentesco e fummo eliminati dall’Istituto Tecnico di Cagliari in una memorabile partita disputatasi nel campo di via Pola. Perdemmo su rigore calciato da Pisanu, non ricordo il nome, chiamato patata che, successivamente, giuocò anche nel Cagliari. Quella notte non potei dormire, tanta era l’emozione di essere stato interpellato dalla prima squadra di calcio oristanese. Mi presentai, mi fecero fare una partitella, nella quale profusi tutte le mie energie; evidentemente feci buona impressione, tanto da essere chiamato agli allenamenti che si svolgevano il giovedì.
Ricordo che il portiere titolare era Marcialis, dipendente delle Ferrovie.
Passò qualche tempo poi, un bel giorno, fui convocato, come titolare portiere, dovevamo giuocare contro l’Arbus, mi sfugge a quale titolo. Siamo negli anni in cui la Società forniva ben poco corredo, qualche paio di scarpe e la maglia societaria. Io ricevetti, in quella occasione, le ginocchiere ed un paio di scarpe. Ero felice, erano le prime scarpe da pallone nuove che calzavo. Intendevo fare buona figura e cercai, in tutti i modi, di procurarmi l’attrezzatura. Chiesi a mia mamma di prepararmi due cuscinetti pieni di crine, da cucire nei calzoncini (allora i campi erano delle vere e proprie carte vetrate), un paio di normali calzettoni e, quali parastinchi, scelsi due robusti quaderni che avevano la copertina di cartoncino, un paio di calzini bianchi sostituirono, esteticamente, le cavigliere, un bordino ed un maglione neri, completarono la mia… divisa. Dimenticavo di dire che mio padre, almeno nei primi tempi, non volle… collaborare in alcun modo alla bisogna.
Misi il corredo in una valigetta di cartone. Ero pronto per l’esordio.
Partimmo in un camioncino allora chiamato giardinetta, seduti su delle panche di legno, giungemo ad Arbus una mezz’ora prima del’orario d’inizio della partita.
Entrai in campo.
Il cuore mi batteva forte.
Dopo circa mezz’ora avevo incassato due gol. Alla fine, nella mia rete, erano entrati quattro palloni, contro un gol fatto da noi. Il terzino Tore Carta, non faceva che incoraggiarmi dato che vedeva la mia prostrazione. Partimmo. Sedetti sconsolato nella panca della giardinetta.
Allora, per una partita persa, si piangeva.
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CORREVA L’ANNO (anno IV n. 6/9 del 4 ottobre 1997)
Correva l’anno 1939.
Noi, giovani atleti, ci allenavamo, come meglio potevamo nel Campo Tharros; all’epoca era poco più di un piazzale di terra.
Eravamo quindi costretti a segnarci le corsie, cercando di eliminare le gibbosità, riempivamo la fossa dei salti con la sabbia, cercavamo, in una parola, di poter svolgere la nostra attività, nel modo più decente possibile in vista dei campionati sardi di atletica leggera che si svolgevano annualmente a Cagliari presso lo stadio Amsicora. Lo sforzo al quale ci sottoponevamo era assai gravoso, dato che alcun aiuto ci perveniva, tanto meno dal Comune che considerava l’atletica poco più di un giuoco.
Occorrevano mesi di accurata preparazione. Ci recammo al Campo Tharros e, con nostra amara sorpresa, lo trovammo completamente arato. Il prof. Severino Ibba, ne aveva ricavato un orto di guerra coltivando il terreno a fave.
Lo sconforto serpeggiava tra di noi. Che fare? Avremo forse dovuto rinunziare alla partecipazione delle gare?
Restava un’unica soluzione, una pezza. Gli atleti che avrebbero dovuto partecipare alle corse, avrebbero potuto svolgere i loro allenamenti, con tanta buona volontà, nella pubblica strada. Allora le vie cittadine non erano asfaltate. Mentre io ed altri potevamo allenarci nel Campo Tharros, in quanto era ancora agibile una parvenza di attrezzatura per i salti. Per molti giorni gli Oristanesi che abitavano nella zona di San Martino, videro una decina di ragazzi che, quotidianamente, correvano davanti alle loro abitazioni. Erano gli atleti che avrebbero dovuto difendere i colori di Oristano nei nuovi cimenti.
In quell’anno le nostre affermazioni furono veramente scarse; lasciammo ad altri i vari titoli. Mariano Carta, Lillino Mereu, Mario Masala, Chicchino Serra ed altri, restarono molto delusi.
Riconosciamo però un fatto. Avevamo contribuito a far conoscere l’atletica leggera agli abitanti della pubblica via.
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FINE DI UN’ILLUSIONE (anno VII n. 1/4 del 13 aprile 2000)
Correva l’anno millenovecentotrentanove, la squadra di calcio del Cagliari militava in serie C. Ricordo tra i giocatori i nomi di Grandesso, Brusa, Fercia, e dell’allenatore, uno straniero, Erbistein. Io, ragazzo, avevo iniziato a giocare, come portiere, nella squadra oristanese dell’Arborea, ora Tharros. Un bel giorno, l’Arborea fu invitata dal Cagliari a giocare una partita amichevole che si sarebbe svolta nel campo di via Pola. Partimmo. Componevano la nostra squadra, tra gli altri, Tore Carta, che morì precipitando con l’aereo durante la guerra, Eugenietto Cherchi, Alessandro Verde, Orlando Floris e Bernardo Pinna; giungemmo a Cagliari verso le dodici, mentre la partita sarebbe dovuta iniziare alle 14.30; in viaggio, in un camion, avevamo mangiato un frugale pasto. Iniziò la partita, i… nostri partirono di slancio e, su una fuga solitaria di Bernardo Pinna, inaspettatamente, segnammo un goal; la reazione del Cagliari fu veemente ed il primo tempo terminò quattro a uno. Nel secondo tempo ci fu fischiato un rigore contro e, fortunatamente, intuii la direzione e lo parai. Finita la partita fui avvicinato da un dirigente del Cagliari il quale mi propose di far parte dei giovani della squadra, io accettai entusiasticamente l’offerta. Ma avevo fatto i conti senza l’oste che, in tal caso, era mio padre il quale, saputo delle mie intenzioni, mi chiese se fossi matto e, come prima misura, mi vietò di andare a giocare anche con la mia squadra oristanese. Così naufragarono miseramente le mie speranze di poter giocare in una serie nazionale. Solo dopo qualche mese potei riprendere il mio ruolo nell’Arborea. Chiusi pertanto la mia carriera calcistica sempre nella Serie Regionale.