Archeo Bike a Monte Arci · 2013
Direttamente dal racconto di uno dei protagonisti, Paolo Marras
Prima premessa: nel mese di luglio 2013, in località “Mitza Margiani”, in agro di Villaverde, c’è stata una nuova campagna di scavi che ha interessato il villaggio nuragico addossato al nuraghe “Brunk’e s’Omu”.
Seconda premessa: non l’ho mai visto, è una lacuna da colmare.
Terza premessa: questa sarà l’ultima domenica senza cacciatori: meglio approfittarne per godersi il Monte Arci.
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Basta un veloce giro di telefonate e qualche messaggio su Facebook per trovare tre volenterosi e appassionati compagni d’avventura: appuntamento a domenica mattina. E per andare a visitare un sito nuragico scegliamo quale punto di partenza lo spiazzo prospicente il nuraghe “Bau Mendula”, ai piedi del Monte Arci, già punto di partenza di altre escursioni in mountain bike. Si parte, e lungo la sterrata veniamo salutati da tre o quattro cani pastore che abbaiano festanti (festanti?) al nostro passaggio.
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Facciamo la prima sosta dopo qualche chilometro di salita dolce, a “S’Utturu ‘e su Cadru”, dove facciamo rifornimento d’acqua. Da lì l’ascesa è costante, in qualche punto la pendenza si accentua, ma è sempre pedalabile e la vista della pianura e del golfo è piacevole: individuiamo con chiarezza il paese di Santa Giusta, l’omonimo stagno, il porto industriale e altre località.
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Giungiamo in località “Laccheddas” da dove, dopo una breve discesa, raggiungiamo la grotticella chiamata “Su segretu de sa conca ‘e s’omini”, che la leggenda descrive come prigione dove le ragazze madri venivano rinchiuse per espiare le proprie colpe, in realtà un sepolcro preistorico. Da lì procediamo verso “Mitza Simione” e “Roia Menta”, consultando spesso i nostri GPS per individuare la giusta direzione.
Giungiamo finalmente a “Mitza Margiani” e dopo esserci rifocillati all’ombra del bosco che circonda la sorgente affrontiamo la salita verso i ruderi del villaggio.
Le parole non descrivono appieno la bellezza del sito, né l’impressione di quanto sia vasto e complesso; camminiamo tra le capanne cercando di individuare il profilo e la destinazione d’uso delle varie costruzioni, rendendoci conto di passeggiare tra millenni di storia.
Soddisfatti iniziamo il viaggio di ritorno raggiungendo la rocca di “Nuraghe Turriu”, un’ultima sosta per bere acqua fresca dalla sorgente di “Mitza Cruccui” e via verso la discesa che ci costringerà a guadare il Rio Tumboi per ben sette volte; la temperatura e la bassa portata del ruscello rendono agevoli i passaggi più tecnici e infine, dopo quattro ore o poco più di escursione torniamo alle nostre auto stanchi, affamati, ma pienamente soddisfatti per aver trascorso un’altra splendida giornata in compagnia tra le bellezze del nostro Monte.
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Un ringraziamento ai miei tre compagni di avventura che hanno documentato con le loro fotografie questo racconto: Federico Desogus, Massimiliano Murru e Sandro Pinna.
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