Mountain Bike

Roma · 20 giugno 2019

Direttamente dal racconto di uno dei protagonisti, Paolo Marras

Indubbiamente per chi (come me) è appassionato di storia e archeologia passeggiare per Roma è come andare in giro in un immenso parco giochi a cielo aperto. Grazie a internet è possibile reperire tracce, informazioni e consigli per farlo in sella alla propria mountain bike.

L’itinerario parte dalla valle della Caffarella, facente parte del Parco dell’Appia antica, ricca d’acqua e percorsa da un articolato reticolo di sentieri; non mancano, qua e là, testimonianze del passato.

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Raggiungiamo la via Appia in corrispondenza della chiesetta detta del “Quo Vadis” (che non ho potuto fotografare per via del traffico automobilistico); l’Appia detta anche “Regina viarum”, era l’antica strada che collegava la Capitale con Brindisi e l’adriatico pugliese; il fondo stradale è per lo più composto da sampietrini, non mancano però lunghi tratti del basolato originario del periodo romano.

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Lungo il percorso, come si usava allora, i ricchi cittadini romani erigevano imponenti monumenti funebri; uno dei più famosi é sicuramente quello di Cecilia Metella, successivamente inglobato in una cittadella fortificata (Castrum Caetani).

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La parte di via Appia percorsa in sella è stata di circa 40 km, circondati dalla campagna romana, a distanza di sicurezza da traffico e smog. Le poche auto incontrate, di famiglie residenti lungo la strada, sono costrette a tenere un’andatura moderata a causa del fondo stradale disconnesso.

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All’altezza della frazione di Frattocchiefinisce il parco archeologico. Nostro malgrado ci infiliamo in mezzo al traffico per svicolarne fuori quasi subito: la nostra traccia infatti ci conduce su stradine secondarie, asfaltate e poco battute, le cui pendenze sono niente affatto trascurabili.

Scolliniamo percorrendo la breve galleria che ci conduce fino alla ben nota località di Castel Gandolfo, residenza estiva dei Papi, sorta sulle rive del lago Albano. Attorno al lago, di chiara origine vulcanica, si sviluppa un piacevole percorso immerso tra i boschi, senza presentare dislivelli apprezzabili.

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Dopo un meritato spuntino a base di pane e porchetta(del resto siamo nei luoghi dove questo piatto è una tradizione consolidata) e una birra fresca ci concediamo qualche minuto di riposo all’ombra degli alberi in riva al lago prima di rimetterci in sella.

Si rientra affrontando la stessa strada dell’andata, ritrovando la via Appia, percorrendola fino a raggiungere i ruderi della Villa dei Quintili, dove la abbandoniamo definitivamente, percorrendo uno stradello sterrato fino all’Appia Nuova; il traffico qui è intenso e bisogna attendere pazientemente al semaforo che scatti il verde per poterla attraversare in sicurezza. Dopo un chilometro e mezzo di strada asfaltata giungiamo all’ingresso del Parco degli Acquedotti, l’ultima meraviglia di questa escursione che ormai è quasi giunta al termine. Percorrendo questi ultimi chilometri passiamo sotto e di fianco agli archi costruiti dagli architetti romani per approvvigionare la città.

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L’escursione termina davanti a una coppa di gelato sulla Via Tuscolana, a mitigare il caldo e la fatica. Ciò che resta sono le tante emozioni vissute pedalando nella storia di una città unica come Roma.

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Meilogu · 2 giugno 2019

Direttamente dal racconto di uno dei protagonisti, Paolo Marras

Il Meilogu è una sub regione che non ha confini certi; di certo c’è che ne fanno parte i comuni di Giave, Romana e Cossoine, esattamente dove, domenica 2 giugno, ci siamo regalati una piacevole escursione in un territorio che non conoscevamo, ma che ci ha piacevolmente colpiti per le sue bellezze naturali e storiche.

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Si parte dalla stazione di Giave, a poche centinaia di metri dalla S.S. 131, direzione ovest verso Monte Traessu, la cui mole ci accompagnerà per tutta l’escursione. Lungo la salita (in asfalto) due piccole sorgenti ci offrono lo spunto per qualche foto.

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Superata la Casa Cantoniera di “Sa Terralva” comincia lo sterrato che ci conduce prima al cospetto de “Sa Rocca Manna” (ai cui piedi si apre l’omonima grotta) e successivamente ad attraversare il candore di una cava di caolino.

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Dopo una breve e adrenalinica discesa su un sentiero sconvolto dalle piogge comincia una lenta e, a tratti, impegnativa salita verso il monumentale santuario di Bonu Ighinu, in agro di Mara, celebre anche per aver dato il proprio nome a una delle culture prenuragichedella nostra isola.

Poche centinaia di metri a sud ovest è presente una vena sorgiva probabilmente destinata a dissetare i pellegrini i fedeli che abitavano le “cumbessias”.

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Lasciato alle nostre spalle il santuario proseguiamo in salita fino alla grotta chiamata “Sa ‘Ucca ‘e su Tintirriolu“, legata ai ritrovamenti archeologici di cui sopra.

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Dopo una lunga e faticosa salita “a spinta” (nel senso che si spinge la bici perché la salita è troppo ripida e scassata) riprendiamo a pedalare verso l’antica e suggestiva chiesa di Santa Maria Iscalas, in territorio di Cossoine, le cui origini si perdono nella notte dei tempi.

A poche decine di metri, direzione sud, è documentata una necropoli risalente all’età romana.

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Prima di abbandonare il territorio di Cossoine visitiamo una piccola tomba di giganti “di Paddeu o Su Truppu” e, successivamente, il sito nuragico di Aidu e Corruoecomposto da due nuraghi, un villaggio e un’altra tomba di giganti molto interessante.

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Qui, di fatto, si conclude la nostra escursione su un percorso che l’amico Giovanni Cocco ha voluto condividere con noi e che il mio “solito” compagno di viaggio Sandro Pinna ha documentato con le sue foto.

 

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Villacidro · maggio 2019

Direttamente dal racconto di uno dei protagonisti, Paolo Marras

 

Villacidro sorge «là dove la piana monotonìa del Campidano cede il passo agli ultimi contrafforti del sistema montuoso del Linas»; la citazione, tratta dal sito istituzionale del comune, descrive perfettamente ciò che l’occhio vede quando è in vista della cittadina del Medio Campidano. Villacidro è anche il paese natale dello scrittore Giuseppe Dessì e, in tempi più recenti, del ciclista Fabio Aru.

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Partiamo dalla periferia del centro abitato, sulla strada asfaltata verso il Monte Linas, costeggiamo il lago fino a raggiungere la foresta demaniale di Monti Mannu, dove cominciano le salite che caratterizzeranno lunghi tratti di questa nostra escursione. Ciò che più colpisce però è l’abbondanza di sorgenti e corsi d’acqua che incontriamo.

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Dopo aver lasciato alla nostra destra i ruderi della miniera di Canale Serci affrontiamo una lunga salita; fortunatamente il fondo stradale è compatto e ci permette di pedalare in agilità e di gestire le nostre forze durante l’ascesa.

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Aggiriamo Punta Pranu Ilixis e scolliniamo sotto ai 911 metri slm di Cuccurdoni Mannu raggiungendo infine località Matzanni dove visitiamo il celebre sito archeologico. La delusione è tanta nel constatare lo stato di abbandono in cui versa l’area: dei tre pozzi sacri due sono visibili e solo uno scavato e leggibile. Qui fu ritrovato un bronzetto noto con il soprannome di “Barbetta”. Poco distante, a sottolineare la sacralità di quest’area, sorgono i resti di un tempio punico.

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Da qui comincia la lunga discesa, 600 metri di dislivello in 13 km; ritroviamo la vista panoramica sul lago.

 

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A pochi km. dall’arrivo ci concediamo un’ultima digressione per una visita alla chiesa campestre di San Sisinnio, che troviamo affollata per una manifestazione legata alla ricorrenza del primo maggio.

 

Questo racconto è la sintesi di tre diverse escursioni sul Monte Linas in compagnia di Gina, Simona e Sandro.

Le foto sono di Simona e Sandro.

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Verso Sud · maggio 2018

Direttamente dal racconto di uno dei protagonisti, Paolo Marras

Quando si percorre la S.S. 131 in direzione Cagliari, già dopo Nuraminis, si individua facilmente il colle di Monte Zara. Alto poco più di 220 domina il paese di Monastir e la porzione di Campidano a nord del capoluogo con una visuale a 360°.

È probabilmente per questo motivo che fin dalla preistoria l’uomo lo abbia abitato e pian piano modificato a proprio uso e consumo; la sua scalata rappresenterà la parte conclusiva dell’escursione che io e Sandro ci apprestiamo a cominciare.

Partiamo di buon mattino dalla periferia di Monastir in direzione sud, verso il Monte Oladiri; anche qui, come sul Monte Zara, sono visibili alcune domus de janas, abbandonate, ma visitabili e in un discreto stato di conservazione. Poco distante da qui sorgono i ruderi del castello medievale di Baratuli, baluardo difensivo dei Giudici di Cagliari, che verrà incluso in una prossima escursione.

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Procedendo verso sud su strade di campagna raggiungiamo la bella chiesa campestre di Santa Lucia, risalente al XIII secolo, presso la quale ci fermiamo per le foto di rito.

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Il nostro itinerario ci porta a lasciare il territorio di Monastir e addentrarci in quello di Sestu. Raggiungiamo un’altra chiesa campestre, quella di San Gemiliano, anche questa risalente al XIII secolo.

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Di passaggio per Sestu ci fermiamo a fare due foto alla chiesetta di San Salvatore, i cui segni incisi sulle pietre ci incuriosiscono.

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Ci lasciamo alle spalle Sestu risalendo a nord-est, verso Serdiana; attraversiamo una zona a vocazione agricola, senza pendenze importanti, costeggiamo Stani Saliu e raggiungiamo la bellissima chiesa campestre di Santa Maria di Sibiola; l’edificio, un vero gioiello del romanico in Sardegna, risale al XII secolo e sorge all’interno di un parco circondato da olivi e vigneti.

Mentre abbandoniamo il sito incontriamo il folto gruppo di bikers impegnato nel Sardinia Divide.

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Torniamo verso ovest, verso Monastir, per affrontare l’ultima fatica della nostra escursione: l’ascesa al sito archeologico del Monte Zara, sulla cui vetta sono note delle domus de janas e un’area sacra di epoca nuragica caratterizzata da un altare rupestre e una scalinata scavata nella roccia. Dalla vetta sarebbe probabilmente possibile osservare un ampio panorama, ma date le incerte condizioni meteo riusciamo unicamente ad avere una vista dall’alto del paese.

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E mentre affrontiamo la discesa ci incuriosisce un cartello che indica il “single delle roverelle”: seguiamo l’indicazione e scopriamo un piacevole e intrigante single track che ci riconduce in paese.

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Gonnosfanadiga · 1 ottobre 2018

Direttamente dal racconto di uno dei protagonisti, Paolo Marras

Per tracciare un itinerario di un’escursione che conduca da un punto “A” a un punto “B” è ormai sufficiente essere in possesso di un normale smartphone, impostare sul gps il punto di partenza, quello di arrivo e seguire le istruzioni della voce guida. Se invece l’itinerario prevede anche un punto “C”, un punto “D”, un punto “E” e via discorrendo è invece opportuno rivolgersi a un buon conoscitore del territorio che si intende esplorare. Se poi il territorio in questione è il medio campidano la scelta non può che ricadere sull’amico Corrado Fenu, già ottimo compagno di avventure passate.

Con Gina e Sandro partiamo dalla periferia di Gonnosfanadiga, la città dell’olio.

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Ci dirigiamo a est, in località Spadula, possiamo osservare ciò che resta di un tempio a megaron rimaneggiato più volte sino all’attuale conformazione risalente al XVIII secolo quando vi fu eretto il rifugio di un vaccaro e di un recinto litico.

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Il monumento è ubicato all’interno di un terreno privato adibito a pascolo su cui è stato posto un vincolo archeologico in quanto tutta la zona circostante presenta diverse emergenze nuragiche.

Il proprietario del terreno, Claudio, è disponibile non solo ad accompagnarci, ma anche a raccontarci la storia del monumento fornendoci tutta una serie di notizie e curiosità relative al tempio, alla zona e alla vicina chiesa campestre di San Giacomo, al centro di una curiosa vicenda.

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Salutato Claudio percorriamo alcuni chilometri d’asfalto prima e di sterrato poi sconfinando in agro di Guspini, in località Terra’e frucca, dove, tra le sterpaglie, è possibile vedere i ruderi di un piccolo edificio termale romano.

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L’itinerario prosegue e ci porta alle pendici del monte Linas, nella zona di San Cosimo: in rapida successione visitiamo la tomba di giganti di Sa grutta’e s’orcu, il nuraghe Sa domu’e s’orcu, i ruderi della chiesa dedicata al santo e, per ultima, l’omonima e spettacolare tomba di giganti. È sopratutto questa ad attirare la maggior parte delle nostre attenzioni per via della monumentalità che la contraddistingue e che documentiamo con le foto seguenti.

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Ci aspetta un’ultima e impegnativa salita su sterrato prima di scollinare sull’asfalto e tornare al punto di partenza; lungo la discesa ci fermiamo appena il tempo per una foto alla chiesa campestre di Santa Severa.

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Per ultime voglio postare altre due foto che documentino il disastroso incendio che ha devastato il territorio tra Gonnosfanadiga e Arbus.

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Gonnosfanadiga, 1 ottobre 2017

La maggior parte delle foto sono di Sandro Pinna. Le altre sono mie.

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A Calangianus tra sughere e graniti · aprile2017

Direttamente dal racconto di uno dei protagonisti, Paolo Marras

 

“La ferrovia Monti – Calangianus, breve linea di soli 27 chilometri di tragitto, faceva originariamente parte di una più lunga rete di collegamento dei principali centri dell’interno della Gallura, che si spingeva fino alla cittadina di Tempio Pausania. Finì tuttavia, con il trascorrere del tempo, per diventare un piccolo tronco a sé stante, con una limitatissima importanza per il solo trasporto merci, data la natura del suo percorso che attraversava un territorio pressoché disabitato, tra i fantastici paesaggi del versante orientale del massiccio del Limbara.”

(Il resto della storia la potete leggere qui)

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Oggi la ferrovia Monti – Calangianus è un percorso ciclopedonale che non ha perso niente del suo fascino e i “fantastici paesaggi” della descrizione sono ancora lì, mi scorrono di fianco mentre percorro l’antico tracciato in questa splendida domenica di primavera.

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L’orario di partenza di questa escursione è fissato alle ore 10.00 alla periferia di Calangianus, centro famoso per la lavorazione del sughero che ne ha caratterizzato e ne caratterizza tutt’ora l’economia, ultima fermata prima del capolinea ubicato a Tempio Pausania.

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In questo primo tratto il percorso è attrezzato con illuminazione, panchine e vari attrezzi per la ginnastica all’aria aperta, le pendenze sono leggere e permettono di pedalare in scioltezza dedicando appena un’occhiata curiosa e veloce ai ruderi dei tanti caselli ferroviari abbandonati ai lati del sentiero.

Uno di questi questi caselli, chiamato “rifornitore”, a circa metà strada tra Calangianus e Monti consente di sostare all’ombra delle immancabili sughere e di dissetarsi a una fresca sorgente d’acqua.

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Allontanandosi dal centro abitato il tracciato procede verso sud con un andamento tortuoso che asseconda il profilo delle colline circostanti costeggiando imponenti formazioni granitiche, a volte le attraversa scorrendo tra imponenti bastioni di pietra, e scavalcando torrenti quasi in secca.

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Raggiunta la stazione ferroviaria di Monti comincia il viaggio di ritorno. Si percorre a ritroso lo stradello dell’andata con qualche breve digressione su asfalto Lungo la strada un prato verde diventa la location ideale per rifocillarsi con panini, frutta, qualche dolcetto e tante chiacchiere prima di riprendere il cammino.

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Rientriamo alle auto che sono passate di poco le 17.00; è tempo di birra, di dolce e di salato, chiacchiere, di nuove idee e nuove escursioni da raccontare.

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Altre informazioni sul percorso e la vecchia ferrovia con foto d’epoca e altri racconti possono essere reperite qui.

 

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Trexenta · ottobre 2016

Direttamente dal racconto di uno dei protagonisti, Paolo Marras

Trexenta 23 ottobre 2016

Chi ha la passione per l’escursionismo lo sa, basta frugare un po’ su internet per trovare continuamente spunti per organizzarsi interessanti domeniche all’aperto; è stato sufficiente posare gli occhi su un sito che parlava della necropoli di Acqua Salida per cominciare a pianificare un giro in Trexenta ben disegnato e condotto dagli amici Corrado e Beppe.

Partiamo in quattro da Serrenti e dopo pochi km ecco la Domus de janas di Grutta Niedda.

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Ripartiamo dirigendoci verso il territorio comunale di Samatzai dove sorge Su Nuraxi, nuraghe complesso attorniato da emergenze che suggeriscono la probabile presenza di un villaggio.

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Ci lasciamo Samatzai alle spalle e pedaliamo verso Pimentel e la già citata necropoli di Acqua Salida, dove fotografiamo il sito, la vicina cava dove sono evidenti le tracce dell’attività estrattiva nonché profonde tracce del passaggio di carri.

Facciamo qualche foto anche alla vicina domus di Corongiu impreziosita da motivi a spirale incisi nella roccia.

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In agro di Ortacesus visitiamo l’interessante necropoli di Mitza de Siddi che presenta diverse tipologie di sepoltura. A causa di azioni di vandalismo lo stato attuale del sito è documentato dalle nostre foto.

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Percorriamo di buon passo le sterrate in direzione sud est, attraversiamo con attenzione la trafficata SS 128, quindi guadiamo il Rio Mannu e costeggiamo Monte Uda dirigendoci verso Senorbì. Lungo la strada ci fermiamo per uno spuntino presso Sa Turretta.

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La necropoli di Monte Luna rappresenta il punto estremo della nostra escursione. Dopo aver visitato e fotografato il sito comincia il ritorno verso il punto di partenza.

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Lungo la strada effettuiamo una sosta per visitare i ruderi della chiesa di San Bartolomeo e Sa Mitza de Orrù dalla particolare architettura, di origine sicuramente medievale, forse bizantina.

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Dopo 6 ore di escursione e 60 km sulle gambe rientriamo alle auto stanchi, ma appagati per aver conosciuto un altro piccolo pezzo della nostra isola.

 

Con Corrado Fenu, Beppe Carta e Sandro Pinna.

Le foto sono di Corrado, Beppe, Sandro e mie.

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Nughedu Santa Vittoria · 2016

Direttamente dal racconto di uno dei protagonisti, Paolo Marras

“Una popolare leggenda narra che una fanciulla originaria di Cabras (da cui il termine “Crabarissa”: donna di Cabras) si innamorò di un pastore di Austis conosciuto durante la transumanza invernale, che dalle montagne faceva scendere le greggi alla ricerca dei pascoli migliori, fino alla costa dove il clima era più mite. Furono scambiati i doni e le promesse di matrimonio. Finita la transumanza il pastore ripartì per la montagna e la ragazza attese invano il suo ritorno. La giovane intraprese il lungo viaggio verso la montagna e giunta ad Austis trovò il pastore sposato con un altra donna e nel ritorno verso la pianura, la giovane rimase pietrificata dal dolore.”*

Dal sito del comune di Austis

 

Si dice spesso che le leggende abbiano un fondo di verità: qui nel Mandrolisai la verità è un blocco granitico alto oltre 50 metri che gli elementi hanno scolpito nel corso dei millenni dandogli le sembianze di una donna che indossa un costume tradizionale.

Nughedu Santa Vittoria · 2016

Partiamo in 4 daNughedu Santa Vittoria, al limite orientale del Barigadu: Sandro, Nicola, Gianluca e io. Dopo una iniziale discesa in asfalto il nostro itinerario sale con pendenze variabili fino all’oasi naturalistica di Assai, in agro di Neoneli, pedalando senza fretta sulle ampie sterrate in saliscendi che ne attraversano l’area tra sughere, lecci, macchia mediterranea e graniti fino a “S’ena de Assai” dove scavalchiamo la recinzione dell’oasi per poter percorrere il sentiero fino a “Sa Crabarissa”.

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Trovarsi di fronte a una simile meraviglia della natura ripaga ampiamente di tutti i piccoli sacrifici sostenuti per giungere fin qui; di colpo sparisce la fatica per le salite e i chilometri, abbandoniamo temporaneamente le nostre mountain bike e ci avviciniamo al monumento naturale per le classiche foto ricordo.

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Riprendiamo la nostra escursione percorrendo un piacevole “single track” che aggira il monumento alla base e da lì comincia il rientro verso Nughedu sulle sterrate dell’oasi e successivamente sull’asfalto delle provinciali di collegamento. In prossimità del paese, in località “Arzolas de Goi” andiamo alla scoperta dell’omonima necropoli composta da tre gruppi di Domus de janas risparmiate all’interno dell’area di una cava dismessa; una delle tombe in particolare attira la nostra attenzione per via delle protomi taurine scolpite all’esterno e all’interno di essa.

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Nughedu Santa Vittoria · 2016 NOVE

Nughedu Santa Vittoria · 2016 DIECI

In auto, sulla via del ritorno, ci fermiamo per una breve visita a due suggestivi siti archeologici ubicati in agro di Sorradile:

la necropoli di “Prunittu

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il santuario nuragico di “Su Monte” (di cui non ho foto perché mi si è scaricata la fotocamera…)

 

Nughedu Santa Vittoria, 24 aprile 2016

Con Sandro Pinna, Nicola Tornello e Gianluca Melis.

 

*(Esiste una seconda versione, meno romantica, della leggenda in cui si racconta che la ragazza ritornava dall’ovile del marito recando in testa un recipiente di sughero pieno di latte. Incontrò un pastore affamato che le chiese cosa portasse sulla testa e lei mentì rispondendo che trasportava pietre. La menzogna le costò cara perchè il pastore le predisse che si sarebbe trasformata in pietra.)

 

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Sedilo · 2015

Direttamente dal racconto di uno dei protagonisti, Paolo Marras.

 

Dici Sedilo, in provincia di Oristano, e subito ti viene in mente “s’Ardia” e l’adrenalina che scorre quando i cavalieri corrono attraverso l’arco del santurario dedicato a Santu Antinu tra due ali di folla.

 

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Sedilo per noi diventa un luogo da scoprire grazie alla fantasia e alla conoscenza del territorio di Gonario che ci guida attraverso la nebbia fino a giungere al bellissimo sito di Iloi. Tra la nebbia i monumenti che vediamo e fotografiamo assumono una veste inconsueta che li rende affascinanti.

 

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Scendiamo dal costone di “Binzales” e visitiamo le domus de janas di Ispiluncas quindi percorriamo un suggestivo single track che ci porta a scavalcare la strada statale 131 (dcn) e giungere sulle sponde del lago Omodeo.

 

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Il lago sarà una presenza costante e un punto di riferimento per noi; lo costeggiamo a lungo pedalando sulle sterrate che, chilometro dopo chilometro, ci portano verso il Santuario di Santu Antinu.

 

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Scendiamo verso il fiume Tirso dove ci aspetta un guado niente affatto semplice…

 

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Una lunga discesa in asfalto ci conduce in vista di Ottana, in lontananza vediamo le inconfondibili ciminiere, simbolo del fallimento industriale che ha segnato, forse irrimediabilmente, questo territorio. Noi invece ci dirigiamo a nord, dove ci attende la fonte sacra di Puntanarcu nascosta da un boschetto di pioppi, olmi e salici.

 

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L’ultima salita mette a dura prova gambe, cuore e polmoni.

 

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Per fortuna, all’arrivo, ci aspetta un luogo accogliente e sicuro dove poter recuperare le energie…

 

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Sedilo, 8 dicembre 2015

Le foto sono di Luca (aka Pavel Nedved)

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Sa Jara Manna, due anni (e mezzo) dopo · 2015

Direttamente dal racconto di uno dei protagonisti, Paolo Marras.

A raccontare la Giara si corre sempre il rischio di cadere nel retorico banale delle descrizioni da guida turistica, ma certo è difficile restare indifferenti al suo fascino e riuscire a trasmettere le sensazioni vissute.

Vista da Gonnosnò la giara è un bastione naturale da scalare con pazienza e regolarità lungo i tornanti che attraversano Costa Linus fino alla sommità dell’altopiano. La giara per accoglierci ha indossato i colori dell’autunno e mette in mostra per noi i gioielli del suo passato, in agro di Genoni: Corona Arrubia e l’insediamento di Bruncu Suergiu.

 

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Proseguiamo il nostro giro attraversando le località di Serra Landiri e Perda Maiale lasciandoci a sinistra il colle di Zeppara Manna (580 metri) per dirigerci verso il versante sud-orientale dell’altopiano, in territorio di Gesturi, dove sorge il protonuraghe di Bruncu Maduli (o Madugui, secondo alcune carte).

 

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Da qui comincia il viaggio di ritorno; ripercorriamo gli stradelli dell’andata di buon passo concedendoci una breve digressione per affacciarci sulle rive di “Pauli s’Ala de Mengianu”, una delle tante paludi che le piogge invernali alimentano e che dissetano la fauna durante l’estate.

 

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E a proposito di fauna non sono mancati gli incontri ravvicinati con i famosi cavallini e nemmeno con altri animali appartenenti ad aziende insediate sull’altopiano e che con essi condividono l’ambiente e le risorse:

 

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È difficile restare indifferenti al fascino della Giara, la vivi per poche ore, finisce che te ne innamori e non vedi l’ora di tornarci.

 

Con Gina, Giulia, Ivan, Sandro e Nicola

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